Un buon caffè


“Un caffè ristretto. Poco zucchero.” Il ragazzo annuì, un po’ intimorito dai suoi modi sbrigativi. 
Doveva apparire così stonato, pensò, in quella mattina luminosa di inizio estate, una di quelle mattine in cui ti aspetti solo che il mondo sorrida e gli uccelli cinguettino, e che insomma ti venga ridata un po’ di quella gioia di vivere che credevi di aver perso. 
Un vecchio solo, ecco cos’era. Un vecchio solo e terribilmente fuori posto, con la sua giacca marrone e le scarpe lucide, in volto l’aria di chi fugge e nel corpo i brividi della paura. Nell’aria odore di fiori, chiacchiere, una risata. E il ticchettio delle sue dita su quel tavolino bianco, che non accennava a smettere. Con lo sguardo, cercò una distrazione nella piazza soleggiata. 
Bambini che giocavano con un pallone, adolescenti che amoreggiavano sulle panchine, donne che portavano buste della spesa. Tutto gli diceva che ormai era al sicuro. Ce l’aveva fatta, eppure non riusciva a scrollarsi di dosso la paura. Ansimava, e per peggiorare le cose decise di accendersi una sigaretta. Con la mano tremante tirò fuori uno di quegli accendini vecchio stile, quadrato, in argento. Un rapido movimento e nacque una fiammella. Nel caldo di giugno, quella luce arancione e sinuosa gli ricordò quel villaggio in Africa. Capanne distrutte, bambini piangenti sui cadaveri delle madri, tanto fumo. L’incendio era divampato, presto il villaggio sarebbe stato libero e i diamanti sarebbero stati nelle loro mani. Ricordò i commenti soddisfatti dei suoi uomini, e il suo stesso sorriso: un’altra missione compiuta.
Sbuffò, e una grossa nuvola di fumo uscì dalle sue labbra. Non aveva mai voluto smettere: un uomo nella sua posizione poteva permettersi qualche boccata di tabacco, per mantenere la giusta lucidità. Aveva dovuto compiere scelte difficili. Metà della sua vita l’aveva passata con un fucile in mano, l’altra metà a spostare bandierine su una cartina. In entrambi i casi, stava uccidendo. Dicevano che era per il paese, per la pace, o per qualche altro nome senza senso. Ma ora, seduto a quel bar, l’aveva capito: si trattava solo di soldi. Nemmeno potere, solo soldi. Per i soldi c’era stata la guerra, per i soldi  aveva scelto di partecipare a questa guerra, e per i soldi ora la guerra la facevano a lui. Ma non l’avrebbero preso, no. Poteva nascondersi, poteva continuare a fuggire per il resto dei suoi giorni, ma non avrebbe dato loro questa soddisfazione.
I passi affrettati del cameriere lo riportarono alla realtà. “Ecco a lei. Gradisce altro?” Con un cenno mandò via quel tipo, una faccia pulita e onesta che non poteva sopportare. Amava l’odore forte del caffè. Il giorno prima, ricordò divertito, ne aveva bevuto a litri. Uno stupido espediente per farsi coraggio, per tenersi in piedi, per seguire un qualche rito che desse normalità a quella giornata.
Istintivamente, passò una mano sulla valigetta di pelle posata sulle sue ginocchia. Morbida pelle scura, bottoni dorati, pregevole fattura. E a saperne il contenuto, poi! Qualsiasi giornalista avrebbe venduto sua madre per mettere le mani su quelle carte, che ora erano lì, con lui, fuori dal caveau, nell’aria profumata di quella mattina di giugno, in quel bar a più di duemila chilometri dal posto che spettava loro. Verbali di conversazioni segrete, coordinate di nuovi giacimenti di petrolio, liste e liste di nomi, tutti possibili bersagli. Un furto perfetto, curato in tutti i dettagli. Un furto che gli avrebbe permesso, finalmente, di cambiare vita. Un aereo preso al volo, documenti falsi, un po’ di contanti, e ora era lì, con la coscienza che aspettava di sentirsi finalmente pulita.
Una casa in collina, un orticello da coltivare, un posto tranquillo dove morire. Vendere un po’ di quelle carte, bruciare le più pericolose, dimenticare il suo passato.
La redenzione era lì, a pochi passi, ma dentro di sé non sentiva altro che paura. La stessa paura che lo accompagnava sui campi di battaglia da tutta una vita, e che di recente aveva cominciato a contaminare anche i suoi incubi.
Era un vecchio, nell’aria immobile di giugno. Nulla era più chiaro di questo. Era un vecchio codardo, in fuga da sé stesso, seduto ad un bar, nel sole di giugno. Dio, quanto era stonato. Quanto pesava sul mondo il suo corpo, quanto erano fuori luogo quei ricordi! Quante grida nelle sue orecchie, quanti volti disperati nei suoi occhi, quanta morte nelle sue mani!
Un uccello passò lì vicino, con un rapido frullo d’ali. Si sentì il viso appiccicaticcio, forse per il sudore. Pensò di cavare il fazzoletto dal taschino per darsi una sistemata, ma inspiegabilmente si accorse di non poter alzare il braccio. Guardò in basso, e vide un lungo e denso fiotto rosso scuro colare sulla sua giacca, sulla valigetta e persino sul tavolino. Dal buco che aveva sulla fronte, una goccia di sangue cadde persino nella tazzina.
Che peccato, pensò, doveva essere davvero un buon caffè.





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