Il viale di fronte all'universo

Con la coda dell’occhio intravide appena il suo corpo addormentato, le lenzuola chiare nella stanza illuminata, il vaso di fiori che qualcuno aveva sistemato sul comodino.
Stava già attraversando l’atmosfera. Il suono del mondo era ridotto ad un ottuso ronzio. Una strana morbidezza lo circondava, come se non si fosse mai allontanato dal suo letto. Gran bel sogno, pensò emozionato. Gran bel sogno davvero. La malattia può fare strani scherzi, ma questa volta aveva fatto le cose per bene. Un dettagliatissimo tour del sistema solare, tutto nella sua testa.
A che velocità stava viaggiando? 
Di sicuro aveva abbattuto il muro del suono, si disse passando accanto a Giove. 
I maestosi anelli di Saturno erano diventati poco più di un’ombra lontana quando capì che non poteva essere un sogno. Nonostante tutti quei documentari, nonostante qualche ricordo scolastico, dovette ammettere che la sua mente non era in grado di ricostruire una meraviglia simile.
Si voltò. Non distingueva più il Sistema solare nella massa indistinta e meravigliosa di luce che si stava rivelando attorno a lui. Stava accelerando, spinto da una forza irresistibile e sconosciuta. Lontano dalla sofferenza, lontano dai problemi, ma anche dall’affetto di quelle poche persone che gli erano rimaste amiche. Lontano, insomma, dalla vita.
Non aveva paura. Non capiva, ma sapeva che doveva andare così. Si sentiva come un piccolo ingranaggio, manovrato da un abile artigiano. Stava andando al suo posto, al luogo che gli apparteneva, e vi era attratto come da una specie di magnetismo. 
Una nuova gravità, a cui non voleva resistere. Si sgranchì il collo, si distese, e scelse di godersi il giretto.
Fluttuava su un ampio disco bianco. Provò invano ad afferrarlo per sentirne la consistenza, ma quello era già lontano, ridotto ad una macchia su sfondo nero. La Via Lattea spariva, così come il gruppo di galassie attorno ad essa. 
L’universo era una tavola nera su cui un pittore distratto aveva sparso della vernice luminosa. 
Forme bianche e forme nere si alternavano, lasciando sempre più spazio all’oscurità.
Da qualche milione di megaparsec di distanza, tutto questo era ridotto ad un puntino luminoso all’orizzonte. Una velocità inconcepibile, lontanissima dai limiti umani. Una forza irresistibile, senza alcun motivo definito. Una sicurezza e una felicità che esistevano di per sé, senza cause e senza un senso.
Viaggiava ormai da qualche minuto nell’oscurità più completa, quando un nuovo tipo di luce, indescrivibile nell’intensità e nel colore, attrasse la sua attenzione. Una lunga linea verticale tagliava in due l’assoluto nero del cosmo, come una ferita lucente, come una porta su nuovi spazi.
Un lungo corridoio che correva verso l’infinito. Un viale di fronte all’universo.
Un suono acuto, come una voce bianca, e la consapevolezza della fine di sé stesso. Questo sentì in quella che doveva essere la fine del viale.
Capì con sorpresa che quel grande e maestoso percorso non era altro che una via secondaria in una struttura infinitamente più grande. Si trovava in un ambiente a metà tra un aeroporto e un incrocio nel centro cittadino di lunedì mattina. Miliardi di miliardi di anime lucenti si muovevano in quel luogo, ora in flussi, come un unico essere, ora sfrecciando da sole a velocità praticamente infinite.
Dentro di sé, sentiva un cambiamento improvviso e tuttavia graduale: i suoi modi di pensiero erano cambiati, lontani ormai dai canoni della sua specie, ma i suoi ricordi ancora resistevano in qualche modo, pur sfuggendogli costantemente dalle mani, come sabbia.
Attorno a lui, migliaia di puntini luminosi, tanti e tanti universi. 
Cosa sapeva di sé, ormai? Sentiva soltanto che quel luogo non era il suo: si trattava di un transito, di un mezzo per arrivare a destinazione. 
Non aveva uno sguardo da orientare, un udito da tendere o un tatto da usare. E tuttavia conosceva queste cose, percepiva l’avvicinarsi di uno di quei punti, intuiva che un nuovo cambiamento era in arrivo.
Come un tuffatore nell’acqua, entrò nel suo nuovo universo. 
Questo secondo viaggio gli parve molto più rapido del primo, probabilmente per una questione di entusiasmo. Nuovi colori, nuove forme, nuove leggi. Non ricordava nulla, non mirava a nulla. 
Era semplicemente felice.
Decelerava, la meta era vicina. Vide qualcosa di simile ad un pianeta ingrandirsi, accogliendolo infine nelle sue viscere. 
Precipitò nella terra, in qualche modo consapevole di un nuovo, promettente inizio.
In quel punto, immediatamente, nacque un fiore, di un tipo mai esistito nel nostro universo.

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