Filosofo: "Tu vorresti mettere sullo stesso piano un tunnel nel Gran Sasso e lo Zarathustra di Nietzsche? Un palazzo qualunque e la Critica della Ragion Pura di Kant? C'è molta più bellezza in quest'ultima, direi."
Ingegnere: "Certo, sullo stesso piano! Anzi, ti dirò che dal mio punto di vista, una diga qualsiasi è molto più bella di un libro di Kant. Tra l'altro, al liceo non lo sopportavo, manco per niente..." *
Se cento persone leggessero questo dialogo, probabilmente avremmo cinquanta dalla parte dell'ingegnere e cinquanta dalla parte del filosofo. Forse, ottanta con il fan delle dighe e venti con l'amico di Kant. O viceversa. In ogni caso, su un campione indefinitamente ampio di persone, vi sarebbe sempre almeno un'opinione opposta. Questo assunto possiamo ragionevolmente supporlo come ovvio. Un postulato, diciamo.
Detto questo, cosa potremmo dedurne? Senza pensarci più di tanto, qual'è l'affermazione che, secondo logica, viene dopo questo postulato?
"Il significato associato alla parola "bellezza" non è uguale per tutti."
Che possiamo tradurre come:
"Il concetto di "Bello" non è uguale per tutti."
Per voler cavare una qualche utilità dalle opinioni dei due studiosi, è necessario continuare a ragionare. Quantomeno, possiamo pensare di avere voglia di scoprire chi dei due ha ragione. Di capire quale percentuale di quei cento stia nel giusto. Per farlo, è necessario arrivare ad un accordo sulla natura del concetto di "Bello".
Ma cercare di arrivare a questo accordo non è proprio fare della Filosofia? Un'intera branca della materia si occupa della questione del Bello: l'Estetica. Non è ovviamente mia intenzione giungere ad una soluzione di questo problema qui, in questo momento. Però voglio trarre un'altra conclusione dalla faccenda.
Il punto è che per risolvere la controversia dobbiamo necessariamente fare ricorso all'approccio filosofico. L'unico modo di trovare un accordo è di giungere ad affermazioni condivise, argomentate razionalmente (perchè la facoltà razionale ce l'abbiamo più o meno tutti).
Questa particolare contesa non è solo sul "Bello": è in questione il valore della Filosofia rispetto alla Tecnica. Si tratta di un conflitto. Le due dottrine sono contendenti. Ma mentre la Tecnica affronta la sfida presentandosi "nuda", come oggetto, senza proferire parola, la Filosofia trascende la sfida stessa, obbligata a decidere poi il vincitore in maniera imparziale, difendendosi dal canto suo parlando, discorrendo, attraverso il linguaggio. Essa deve difendere se stessa, ma parlare anche per la Tecnica, cercando di difenderla meglio che può: tocca alla Filosofia valutare il Bello nella Tecnica.
Questa particolare contesa non è solo sul "Bello": è in questione il valore della Filosofia rispetto alla Tecnica. Si tratta di un conflitto. Le due dottrine sono contendenti. Ma mentre la Tecnica affronta la sfida presentandosi "nuda", come oggetto, senza proferire parola, la Filosofia trascende la sfida stessa, obbligata a decidere poi il vincitore in maniera imparziale, difendendosi dal canto suo parlando, discorrendo, attraverso il linguaggio. Essa deve difendere se stessa, ma parlare anche per la Tecnica, cercando di difenderla meglio che può: tocca alla Filosofia valutare il Bello nella Tecnica.
Immaginiamo dunque questa assurda situazione: due gladiatori sono nell'arena. Uno grosso, grigio e immobile, muto ed imponente. L'altro piccolo, veloce, irrequieto, che invece di approfittare dell'immobilità dell'altro per pugnalarlo, si arrampica, sale in tribuna, e diventa arbitro e giudice della sfida. Dovendo decidere il vincitore, inizia a parlare a favore di sè stesso, poi a favore dell'altro, e non riesce a decidersi, salendo e scendendo dalla tribuna, diventando a tratti oggetto dell' analisi dell'arbitro, a tratti l'arbitro stesso. E l'altro, immobile.
E' questa la pazza situazione della Filosofia, che è "trascendente" (rispetto a questa contesa) proprio perchè conseguenza immediata del linguaggio. La Filosofia ci parla, ha la parola: è per questo che è la cosa più vicina a noi, esseri razionali che dispieghiamo continuamente la nostra ragione nel linguaggio. La Tecnica è muta: sta lì, fatta com'è fatta, inerte: sta al filosofo attribuirle delle qualifiche, glorificarla o degradarla.
La Filosofia più che una dottrina è un personaggio buffo, pittoresco, ma al contempo pieno di tragicità: come quell'affannato gladiatore-arbitro condannato da una perfetta e commovente imparzialità a salire e scendere dalla tribuna all'infinito, per tutta l'eternità.
A questo punto, possiamo interpretare sostanzialmente il rapporto Filosofia-Linguaggio in due sensi. La Filosofia è dunque "Filosofia del Linguaggio", appartiene al Linguaggio, che in qualche modo l'abbraccia, la contiene, la possiede. La Filosofia è la conseguenza più diretta del mondo umano razionale, ovvero del Linguaggio. Così come non si può analizzare il Linguaggio senza fare ricorso al Linguaggio, non si può dire nulla di concreto sulla Filosofia senza esercitare un approccio filosofico (cioè senza fare della Filosofia). Ma essa è anche "filosofia del linguaggio", ovvero ha come suo oggetto privilegiato il linguaggio (con la minuscola) e le sue mancanze: si sforza infine di definire il significato comune di parole quali "Dio", "Verità", "Virtù", "Felicità", "Arte", "Bello". Ma anche, senza dubbio, di parole come "Filosofia" e "Tecnica".
"Beauty is no quality in things themselves: It exists merely in the mind which contemplates them; and each mind perceives a different beauty."
"La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva. Ogni mente percepisce una bellezza diversa."
(Hume)
* da un dialogo realmente avvenuto.
“Bella“, anche l‘immagine dei due contendenti nell‘arena!
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