Le banche e la crisi

Atene è in fiamme. La drammatica rivolta greca, ormai giunta al culmine, diventa il simbolo di un crollo: con questa violenza muore l’illusione di pace e stabilità che ha accompagnato l’Europa degli ultimi due decenni. E mentre sentivamo la guerra come una cosa a noi estranea, confinata in un deserto del Medio Oriente, non ci siamo accorti della sua presenza costante nel nostro mondo, il mondo dell’Occidente “civilizzato” e ultracapitalista.
All’inizio del 2010, subito dopo le elezioni, la Grecia dichiara ufficialmente bancarotta. La crisi della finanza mondiale, la costante pressione delle agenzie internazionali di rating e la speculazione dei borsisti hanno messo un paese in ginocchio. In due anni, la spietata politica di tagli messa in atto dal presidente Papandreou ha aperto una breccia nel mondo europeo post-bellico, riportando alla luce la miseria e la fragilità su cui si regge il nostro sistema economico. Ma come funziona questo sistema? Cosa dà a certe istituzioni il potere di sovvertire i governi?
Le grandi masse, produttrici e consumatrici della maggioranza delle risorse, spesso non hanno idea dell’enorme ruolo che le banche, statali e private, hanno in questa grande macchina. Nate come depositi di moneta, è da tempo ormai che queste istituzioni sono diventate principalmente istituti di credito, alla base di Stati ed imprese. In un sistema in cui solo il 3% della ricchezza ha la forma concreta del denaro, si comprende con facilità quanta importanza acquistino la grandi banche, unici intermediari tra i consumatori e la ricchezza finanziaria, completamente virtuale. Azioni, compravendite, scommesse, speculazioni, ritocchi: tutto quello che avviene nella gestione della Borsa influenza enormemente il destino di singoli e collettività.
Paradossalmente, l’uomo ha smesso da tempo di controllare il suo strumento di controllo della ricchezza: la moneta, immessa nel mercato, si “muove” seguendo schemi complessi, algoritmi indecifrabili, statistiche imprevedibili, arrivando infine ad un impoverimento globale. Questa condizione alienante e autodistruttiva nasce dalla banca moderna, che ha il potere di creare infinita ricchezza virtuale, “creando” moneta (il cosiddetto denaro scritturale) al momento di cedere prestiti,
vendendo e comprando debiti e crediti, speculando in borsa sull’andamento dei titoli.
Come in un romanzo di Kafka, oggi la banca è un’istituzione incomprensibile per l’uomo comune, un oscuro sistema burocratico a cui si è obbligati ad affidare i frutti del proprio lavoro, senza “se” e senza “ma”, pur di sperare in un futuro più sicuro. Da quel momento, il denaro contante diventa un dato elettronico da utilizzare a piacimento, senza che dietro ci sia un lavoro, un valore reale. E mentre la banca concede più crediti di quelli che ha a disposizione, si crea a poco a poco una fragilità radicale, insita nell’intero sistema. La crisi del 2007, oggi ancora molto forte, è stata il risultato di questo processo.
L’unica soluzione davvero efficace, al di là dei crediti “fiduciari” di istituzioni ambigue come la Banca Centrale Europea (principale causa dell’austerity greca), è una radicale riforma del sistema economico, nel segno di un’attenuazione di questo rovinoso capitalismo finanziario. Allo stato attuale, il potere politico non può o non vuole riconoscere l’enormità del problema, riuscendo a pianificare soltanto “manovre” del tutto inadeguate ad impedire la degenerazione definitiva del sistema.
Tocca al cittadino intervenire, prendendo coscienza della crisi. Presupposto fondamentale al cambiamento è che l’uomo comune capisca che il proprio interesse coincide con l’interesse di tutti.

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